Gallinae in Fabula Onlus

Piattaforma di ricerca e volontariato sulla diversità a partire da ecologia e animalità

Lottare contro il complesso d’inferiorità delle battaglie animaliste

di Rita Ciatti

Prima di pensare agli animali, pensiamo ai bambini che muoiono di fame.        snail_animals_photos
Con tutti i problemi che ci sono nel mondo, ti vai a preoccupare di salvare uno scarafaggio?
C’è la crisi, la gente non riesce ad arrivare a fine mese e voi pensate ai crostacei vivi sul ghiaccio?

Quante volte ci siamo sentiti rivolgere queste indisponenti domande? Tante, praticamente sempre.
Di recente è stato coniato un neologismo che va sotto il nome di “benaltrismo” e che sta ad indicare proprio il tentativo di depotenziare alcune problematiche invocando l’attenzione per altre che sarebbero ben più cogenti e urgenti.
Si tratta in realtà di una non argomentazione, alla quale tuttavia ci sentiamo chiamati a rispondere. Attaccati in questa maniera, messi all’angolo, ci troviamo a dover replicare in difesa, quasi a doverci giustificare, ricorrendo talvolta ai cosiddetti argomenti indiretti per nobilitare il tutto, come se inconsciamente soffrissimo di una sorta di complesso d’inferiorità relativo alla nostra battaglia, tale da richiedere a sostegno della sua rivendicazione tutta una serie di motivazioni aggiuntive e correlate.
Senza nemmeno rendercene conto finiamo così col dare indirettamente ragione a chi ci muove certe obiezioni e anziché definire la priorità e specificità della lotta per la liberazione animale, ci lanciamo in generiche disquisizioni sul legame tra sfruttamento umano e animale a confermare che sì, lottiamo per gli animali, ma in fondo in fondo è per noi stessi, per la stessa specie cui apparteniamo, che stiamo veramente lavorando. Accusati di essere traditori dell’umano, dissipatori dell’impegno in primis verso i nostri stessi simili, scialacquatori di tempo che rubiamo ad attività più egoisticamente proficue, ci sentiamo in dovere di dare una copertura umanistica alla lotta per la liberazione animale.
Tacciati di misantropia – come se il porsi contro lo sfruttamento degli animali generasse automaticamente odio a profusione nei confronti della nostra stessa specie – siamo tenuti costantemente a dimostrare il contrario.
Nel timore di venire giudicati aggressivi, intolleranti e fanatici della causa animalista, tentiamo di giustificarci persino al ristorante e anziché proclamarci orgogliosamente vegani, preferiamo semplicemente dire che siamo allergici al latte.
Per favorire il tanto decantato dialogo tra le parti, finiamo spesso col dimenticarci dei veri soggetti in gioco, ossia gli animali, relegandoli ancora una volta su uno sfondo d’indifferenza nel quale diventano vittime due volte.
Ricattati moralmente persino dai parenti e amici più stretti che ci accusano di pensare più agli animali che a loro (come se l’empatia e il rispetto fossero quantitativamente definibili e come se tutti loro si trovassero giornalmente sui camion diretti al macello), restiamo invischiati in giochi di equilibrismo emotivo per dimostrare che seppure ci rifiutiamo di mangiare le salsicce, non per questo smettiamo di volere bene a mamma e a papà.

In cerca  dell’approvazione sociale non facciamo che confermare e rafforzare quella stessa cultura specista che invece dovremmo combattere, scivolando talvolta in una piena accondiscendenza nei confronti del potere costituito e dell’ovvietà del pensiero comune.

Io credo che sia giunto il momento di prendere atto di questo complesso di inferiorità di cui, volenti o nolenti, coscienti o meno, soffriamo, così da rivendicare una volta per tutte la legittimità della battaglia per la liberazione animale senza più timore di essere derisi e criticati.

Quello che non dovremmo fare è trovare giustificazioni che in qualche modo confermino e ribadiscano la centralità dell’umano o ancora mettano, seppure velatamente, i nostri interessi davanti a quelli degli animali.

Per questo personalmente evito di appellarmi agli argomenti indiretti e dichiaro senza reticenza di essere vegana, contraria alla vivisezione e a ogni forma di sfruttamento degli animali per gli animali stessi; che poi ne ricavi benefici indubbi pure per la mia salute, che il pianeta tutto ne giovi e che lottando contro la discriminazione delle discriminazioni sicuramente andremo a problematizzare l’intera logica fondata sul dominio così da mettere in discussione la società nel suo complesso e tanto da  prospettarsi in tal senso la liberazione anche di noi animali umani, sono sì motivazioni altrettanto significative, ma la liberazione animale deve essere un fine e non uno strumento.
Non libero gli animali perché così ci guadagno qualcosa anche io, ma li libererei seppure dovessi, per assurdo, perderci qualcosa. Questo è il senso profondo della liberazione animale, una lotta in cui si prevede il superamento di ogni categoria antropocentrica per arrivare a guadagnare totalmente la prospettiva dei soggetti oppressi e oppressi in maniera peculiare solo dagli umani.

Il problema è: come fare a convincere l’opinione pubblica della dignità e necessità della nostra lotta?
Sicuramente non mettendoci sulla difensiva, non cercando di attribuirle maggior valore appellandoci ad argomenti indiretti, non rivelando noi per primi, seppure inconsciamente, questa sorta di complesso di inferiorità per cui occuparsi degli animali sarebbe meno nobile che occuparsi, che so, dello sfruttamento degli operai in Cina o dei diritti dei carcerati (tanto più che un impegno in tal senso non esclude l’altro e che lottare contro il concetto stesso di discriminazione dell’altro da sé è comunque la base dell’antispecismo).
Dobbiamo sforzarci di mantenere desto il nostro orgoglio anche quando ci dedichiamo a quei piccoli gesti di attenzione quotidiana verso gli animali, ad esempio quando dedichiamo due secondi della nostra vita a mettere in salvo un insettino in difficoltà o a spostare, che so, una lumachina dal centro di un marciapiede – dove sarebbe sicuramente calpestata – per riporla in un luogo più sicuro. E qui mi sento in dovere di aprire una parentesi necessaria:
lo specismo non è soltato quell’ideologia che giustifica e legittima lo sfruttamento istituzionalizzato, ma esso si manifesta anche ogni qualvolta riserviamo una diversa considerazione morale agli animali non umani. Ad esempio quando troviamo un animale ferito in natura e passiamo oltre, senza soccorrerlo, senza intervenire, appellandoci ad argomentazioni fallaci rivelatrici di un pregiudizio e persino prive di logica e coerenza interne del tipo: “è la natura, lasciamo fare alla natura”; un animale ferito e sofferente, anche in mezzo a un bosco, è comunque un animale ferito e sofferente. Non è che soffre di meno perché sta in mezzo alla natura.
Inoltre non esiste strumentalizzazione maggiore piegata a sostegno delle nostre tesi di quella che effettuiamo quando ci appelliamo alla natura: a seconda di quello che vogliamo dimostrare, in totale malafede – ma più spesso semplicemente in maniera illogica – la natura sarebbe da rispettare anche nelle sue manifestazioni più brutali, oppure, al contrario, giustifichiamo e invochiamo interventi e correzioni immediati (nel caso di malattie che colpiscono l’umano, anch’esse naturali, riteniamo giusto intervenire, ma se ad ammalarsi è un cervo in una foresta, e beh, è la natura, è giusto che sia così). Ora, capisco che sia difficile intervenire sempre, del resto abbiamo limiti spazio-temporali (se sono qui, ovviamente non posso accorgermi dell’animale investito in Kenya e non posso fare nulla per salvarlo), ma che almeno il pretesto non sia quello del pregiudizio di specie, ma più semplicemente, di limitatezza del raggio delle nostre azioni.
Vivere a impatto zero è impossibile, ma che questo non diventi un pretesto per l’ignavia e l’accettazione di crimini atroci contro altri esseri viventi che hanno la sola “colpa” di appartenere a specie diverse.

Certamente ci sentiamo talvolta in imbarazzo a compiere certi gesti pubblicamente o anche solo a parlarne. Molti ci definirebbero estremisti esaltati nella migliore delle ipotesi, e nella peggiore direttamente pazzi.
Eppure il valore di una testimonianza simile non ha prezzo perché rivelatrice di un gesto inedito che ha il potere di spazzare via, lentamente, pregiudizi atavici di specie.
Una volta, in una discussione, uno mi disse: “ma il circolo empatico a un certo punto bisognerà pur chiuderlo”.  Anche qui, come se il rispetto dell’altro fosse quantitativamente definibile, come se si trattasse di risorse esauribili.
L’importante è manifestare e testimoniare apertamente, non di soppiatto, non come se stessimo facendo qualcosa di “strano”, di “folle”, di “esagerato”.
Non c’è esagerazione nella cura e rispetto dell’altro, non c’è minore nobiltà nel curarsi di un ragno piuttosto che di un mendicante, né un impegno esclude l’altro.
Rivendichiamo con forza la specificità, necessità e urgenza della liberazione animale, in tutte le sue sfaccettature, sia essa battaglia contro lo sfruttamento istituzionalizzato, sia essa lotta culturale contro il pregiudizio di specie, sia essa impegno e testimonianza anche individuale di una società veramente diversa da qui a venire.

7 commenti su “Lottare contro il complesso d’inferiorità delle battaglie animaliste

  1. Stefania Barsi
    ottobre 28, 2013

    semplicemente….fantastica! Nient’altro da aggiungere a quanto appena letto.

  2. Emanuela
    dicembre 9, 2013

    Stupendo articolo, davvero bellissimo! Mi ci rivedo pienamente. Molte volte sono portata, a causa di discorsi con persone piene di pregiudizi e dalla mentalità arretratissima, a vergognarmi della mia scelta. Ci fanno sembrare dei pazzi, dei radicali, degli esagerati. Purtroppo questo capita molto, troppo spesso; a iniziare dalle mura di casa, per finire tra le aule universitarie (dove mi sono sentita dire, tra l’altro, che sono “una cretina” o che “l’animalismo è una malattia”. Attenzione, detto da studenti di veterinaria, cosa ancora più grave)

    • ritaciatti
      dicembre 10, 2013

      Grazie Emanuela.
      Dobbiamo rivendicare il valore della nostra battaglia a testa alta.

  3. Elisabetta Lelli
    Maggio 23, 2017

    Un articolo ineccepibile, nel quale (ahimè), mi riconosco perfettamente.
    So bene di non poter essere ospite di questo pianeta “a impatto zero “, ma so anche di voler continuare a fare del mio meglio, vivendo e aiutando a lasciar vivere.

  4. Lily-rose Castiglione
    Maggio 28, 2017

    Che dire se non RITA CIATTI PRESIDENTESSA DELLE GALASSIE…♡❤

  5. Laura
    Maggio 28, 2017

    PAROLE SANTE E TUTTE CONDIVISE: GRAZIE!

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Questa voce è stata pubblicata il ottobre 28, 2013 da in Articolo, Attivismo.

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