Gallinae in Fabula Onlus

Piattaforma di ricerca e volontariato sulla diversità a partire da ecologia e animalità

Animalisti e antispecisti: egoisti o altruisti?

“Vi sono egoisti superficiali e incalliti, questi ultimi imagessi chiamano altruisti.”

 E. Friedell

“L’altruismo è un rimorso dell’egoismo.”

R. Gervaso

“Da ragazzo i miei continui e disinteressati slanci di altruismo

mi diedero la fama di buono. Da grande quella di fesso.”

M. Troisi

di Andrea Romeo

Queste riflessioni nascono dall’esigenza di cercare di far chiarezza (ed evidenzio il termine “cercare” perché la questione è alquanto astrusa) su un dilemma che da qualche tempo crea dibattiti all’interno del movimento antispecista, ovvero se i cosiddetti attivisti per la liberazione animale (ma la cosa potrebbe essere allargata tranquillamente a qualunque forma di attivismo) facciano il loro lavoro per puro spirito altruista “disinteressato” (senza vantaggio di alcun tipo, quindi) o se, al contrario, comunque siano spinti da pulsioni egoistiche (e.g. il benessere dato dal rendersi utili ad esempio, saziando la propria empatia o il proprio senso del dovere, il doversi mettere in moto perché spinti da forze sociali come l’etica, etc.).

L’idea di queste riflessioni nasce dopo aver letto l’interessante articolo di Mauro Noti dal titolo Per un doveroso e urgentissimo (eppure ancora inedito) riconoscimento morale degli animali, pubblicato sul blog Gallinae in fabula in data 15 dicembre 2013 (e che trovate qui → https://gallineinfabula.wordpress.com/2013/12/16/per-un-doveroso-e-urgentissimo-eppure-ancora-inedito-riconoscimento-morale-degli-animali/), in cui viene toccato questo tema. L’autore afferma infatti che:

“Se facciamo qualcosa per gli altri è sempre e solo perché farla ci fa sentire meglio, per il nostro bene.”

Ho avuto sovente modo di leggere enunciati di questo tipo, qua e là per i vari siti antispecisti e anti-antispecisti, quando si parla di attivismo per i diritti animali, e spesso e volentieri la cosa viene accettata senza batter ciglio dai diretti interessati: quando si fa qualcosa per gli altri questa può sempre e comunque essere spiegata in termini di egoismo: ripeto, sempre e comunque! (non esistono dunque azioni disinteressate come non vi sono vie di mezzo!).

A parte che non so se la stessa frase venga recitata con la medesima nonchalance quando si parla di attivisti per i diritti umani, come nei confronti di chi lotta per i diritti dei bambini poveri nei paesi in guerra ad esempio (non mi risulta che qualcuno, dopo la morte di Mandela, abbia accusato questo “simbolo dell’umanità” di aver fatto quel che ha fatto “soltanto per egoismo!”, anzi), comunque sia il mio obiettivo in questa sede non è né quello di appoggiare questo enunciato, né tantomeno quello di confutarlo ad ogni costo. L’obiettivo, come affermato, è quello di “far luce”, ovvero di fare un ragionamento onde evitare un uso superficiale di frasi buttate lì per sentito dire, “frasi fatte” come si suol dire, senza aver mai veramente riflettuto sulla questione e sul significato dei termini in questione, e cercare invece, e di conseguenza, di comprendere al meglio questo dualismo provando ad analizzare le definizioni di “egoismo” e di “altruismo” onde riflettere su quelle che sono le nostre umane attività.

Innanzitutto vorrei partire da un banale e semplice principio: se tutto è egoismo, se ogni attività in cui siamo impegnati, dal mettere figli al mondo al dare molliche ai piccioni, dal tagliarci i capelli fino a prestare 5 euro ad un nostro amico che vuole comprarsi un panino e che sappiamo che non ci ritornerà mai più (e che non gli richiederemo indietro, ovviamente), se tutto questo è sempre e comunque egoismo, beh, allora credo proprio che non abbia senso usare il termine “egoismo” perché di fatto, se tutto è egoismo, l’egoismo, semplicemente, non esiste! Il termine “egoismo” può avere un senso solo e soltanto se contrapposto a qualcos’altro che, di fatto, gli permetta di venire a galla, di spiccare rispetto ad uno sfondo, di riconoscerlo. Se ho due amici, ed entrambi hanno le stesse identiche condizioni economiche, e chiedo loro di prestarmi 10 euro senza che la cosa influisca minimamente sulla nostra amicizia (diciamo che sono affezionato ad entrambi per altri motivi), può accadere che uno dei due accetti il mio invito, e l’altro invece no. In tal caso direi che: Tizio ha un carattere più chiuso, è più egoista; Caio invece è più generoso, più altruista: sulle motivazioni psicologiche discuteremo più avanti.

Dicevo, dunque, che se ogni manifestazione umana è di fatto una forma di egoismo, l’egoismo in sé non esiste. Se domani gli scienziati dimostrano (o credono) che anche le pietre, gli astri, l’acqua, etc. possono essere catalogati come “esseri viventi”, non avrebbe più senso alcuno parlare di “vita”. L’unico modo (o il modo migliore), dunque, per sciogliere questo nodo gordiano è, come si usa in Occidente, quello di affidarci alle nomenclature, alle definizioni enciclopediche e dizionariali, cominciando proprio dal termine “altruismo”.

L’enciclopedia Treccani ci dice, a proposito del termine “altruismo”, che:

“Termine creato da A. Comte (1830) per indicare, in contrapposizione a egoismo, l’atteggiamento di chi orienta la sua opera verso il fine di raggiungere il bene altrui (o, se si preferisce, di trovare il bene proprio nel bene altrui).” http://www.treccani.it/enciclopedia/altruismo/

Si osserva come la Treccani ci dia, attraverso il famoso padre fondatore della sociologia, il positivista (che si basa dunque su evidenze, su dati obiettivi) Comte, una definizione ambigua: da un lato ci suggerisce che l’altruismo sia un atteggiamento messo in atto da qualcuno il cui fine, o obiettivo, sia il raggiungimento del bene altrui: in questa definizione non viene specificato se tale raggiungimento del bene altrui preveda anche una qualche forma di “vantaggio” (materiale o immateriale) da parte dell’agente altruista. Ovviamente, avendo l’agente scelto (orienta la sua opera) di raggiungere quell’obiettivo, la cosa può lasciar supporre che il raggiungimento del fine in sé possa portare anche un aspetto egoistico: in tal caso “egoismo” diventerebbe un sinonimo di “obiettivo”, di “fine” o anche di “scelta”: ma a me non risulta che ogni “fine”, o che una “scelta”, siano sempre e comunque anche una forma di egoismo, e proprio questa definizione appena esaminata, se vogliamo definirla con “egoismo”, in tal caso assomiglierebbe molto ad un paradosso, una specie di ossimoro: scelgo il bene altrui (si noti, potevo non sceglierlo), tuttavia il mio atto è egoista. Se però si guarda più da vicino il punto di vista di Comte a riguardo, egli aveva visto nell’altruismo la base biologica della società per il mantenimento della specie (quindi una forma di altruismo egoista, se vogliamo) e l’egoismo individuale un mero prodotto culturale: nella sua visione, in pratica, era l’egoismo il fattore che andava contro lo stato naturale e non l’altruismo: in tal caso sarebbe lecito parlare di altruismo inteso come modus vivendi orientato al bene collettivo e quindi altrui. Pur trovandoci in una qualche forma di egoismo collettivo in quanto i singoli sono mossi per un obiettivo che è il mantenimento della collettività, tuttavia i singoli sono de facto orientati verso l’alter, ragion per cui la definizione riportata dalla Treccani non può dunque sollevare dubbi a riguardo: si è altruisti perché lo si è nel momento in cui facciamo delle scelte piuttosto che altre: se per destino, per pura follia, perché costretti da una qualche mala sorte, questo al momento non ci interessa saperlo.

Nella frase in parentesi, comunque, sembrerebbe che venga confermata una qualche forma di “egoismo”, in quanto viene palesemente affermato che: “o, se si preferisce (corsivo mio), di trovare il proprio bene nel bene altrui”. Anche questa seconda frase è comunque ambigua, molto aggiungerei, dato che mette in gioco una preferenza, ovvero una forma di “scelta” da parte di chi “interpreta” l’altruismo, un “punto di vista”, una vera e propria interpretazione: sembra voler dire che se si preferisce, si può vedere nella cosa anche un vantaggio dell’agente altruista. A prescindere, in entrambi i casi gli attivisti volontari, siano per i diritti animali, umani, marziani o di qualunque altra natura, rientrano one hundred percent nella definizione di “altruista” data dalla Treccani: quali siano le motivazioni di questo dato di fatto, possiamo sempre chiederlo a Freud (e se fosse autolesionismo?) o, come nella favola di Esopo del fanciullo, il contadino e l’asino, andare, come si suol dire, a cercar il pelo (o l’egoismo) nell’uovo.

La Treccani ci dà pure un’altra definizione, oltre a quella “filosofica”, di “altruismo”, in ambito stavolta “etologico”:

“In etologia, il sacrificio di un individuo, di solito a favore della propria progenie o di altri individui con cui il soggetto condivide parti consistenti del proprio patrimonio genetico, che permette a questi ultimi di sopravvivere o di ottenere benefici. È un fenomeno frequente in natura, probabilmente perché favorisce il permanere nella popolazione di una parte del patrimonio genetico comune all’individuo altruista e ai suoi beneficiari, pur comportando sempre un costo che riduce la fitness dell’individuo stesso. Il comportamento altruistico riguarda molti aspetti della vita di un organismo: dalla divisione del cibo all’allertare altri di un pericolo, dall’adottare figli non propri al difendere la propria colonia, e risulta particolarmente adattativo quando il potenziale riproduttivo dell’individuo altruista è significativamente ridotto o esaurito.” http://www.treccani.it/enciclopedia/altruismo/#filosofia-1

Gli etologi, si osserva, parlano in termini di altruismo soltanto come attività, che definiscono pure come “sacrificio”, che ha come fine un vantaggio del gruppo (o comunque di altri individui della stessa progenie) e non si specifica alcun guadagno dell’agente stesso, quanto un sacrificarsi soltanto per il bene altrui. Certo, l’obiettivo del medesimo (ad esempio quando lotta per difendere il branco) sarebbe, come in Comte, quello di difendere e portare avanti il patrimonio genetico della propria specie, quindi si ha di fatto un vantaggio per il gruppo a cui il singolo appartiene, innescando questa definizione un vero e proprio circolo vizioso: ma può la cosa  essere interpretata come una forma di egoismo da parte del singolo? Quanti di voi sarebbero disposti a dare la propria vita per mantenere il nostro patrimonio genetico? In ogni caso rimane un fatto che il singolo, qualunque sia la motivazione, si sacrifichi per il bene altrui (sia un altro soggetto o un gruppo o la salvezza del pianeta) e, dato che specie nel mondo umano questa non è la normalità, si può ben definire il gesto di chi compie atti di questo tipo come “altruista” rispetto a chi, nella medesima condizione, decide (per le ragioni più svariate) di non sacrificarsi.

Questa definizione, inoltre, non ci spiega casi (diffusissimi) di animali che si prendono cura dei cuccioli non soltanto della propria specie, ma anche di quelli di altre specie, (esempi ce ne sono a volontà, non credo di aver bisogno di andare alla ricerca di esempi dalla rete), cosa che tra l’altro andrebbe contro il proprio patrimonio genetico dato che potenzialmente questo atto potrebbe aumentare il numero di “concorrenti” per il consumo delle risorse, nonché casi di animali di una specie che rischiano la vita per animali in difficoltà di altre specie totalmente diverse. Riguardo a quest’ultimo caso, porto ad esempio un video che tempo fa girava in rete della National Geographic dove veniva mostrato un ippopotamo (selvaggio!) che rischiava la propria vita per salvare un’antilope dai denti aguzzi di un coccodrillo (http://www.youtube.com/watch?v=Qdivj8haNBc). Non si capisce quale vantaggio materiale o immateriale (essere ligio ad una qualche forma di “senso del dovere” inculcato dalla cultura, o in qualche forma di “legge di giustizia universale” o finire in prima pagina su un tabloid americano come “eroe del giorno”) questo ippopotamo potesse trarre dal rischiare di essere morso da un mostro preistorico per salvare un individuo di un’altra specie: a me, osservando questa scena, verrebbe da pensare invece che questa sia effettivamente paragonabile ad un vero e proprio gesto altruistico (spinto dall’empatia? Può definirsi l’empatia come forma di egoismo? Perché non si manifestano sempre queste azioni per empatia allora?), totalmente incondizionato e che, essendo fatto da un non umano, abbia perfino basi biologiche, istintive (da cui non vedo perché l’umano, in quanto animale, dovrebbe esserne esente) e che mi suggerisce che tale azione non debba per forza di cose portare un qualche vantaggio all’individuo e/o alla sua specie. Del resto anche nel mondo umano, calcolatore ed utilitarista, si assiste a storie di umani che perdono la vita pur di salvare altri individui (umani e/o animali), cosa che può essere spiegata in almeno tre modi: o queste persone sono spinte dall’istinto; o hanno fatto male i conti riguardo ai guadagni/perdite della loro scelta, un errore di calcolo considerando la propria vita inferiore rispetto al proprio atto; o credono in una vita post mortem per cui valga la pena morire: il mio quinto senso e mezzo mi suggerisce la prima delle tre.

Infine questa definizione non spiega minimamente l’esistenza – specie nella nostra specie – di individui estremamente egoisti anche quando il patrimonio genetico sembra in grave difficoltà (si pensi all’inquinamento odierno il quale, tuttavia, porta gli umani tendenzialmente a fregarsene altamente, alla faccia del patrimonio genetico e della prole destinata a vivere in un immondezzaio)!

Dunque osserviamo come la definizione filosofica della parola “altruismo” del dizionario Treccani risulti vaga e ambigua, come pure quella etologica.

Vediamo altre definizioni. Wikipedia ci suggerisce che:

“Con altruismo (dal latino alter let. altro) si indica la qualità (morale) di interessarsi al benessere dei propri simili. Questo concetto è applicabile sia nella biologia che nella psicologia, sociologia, antropologia e filosofia. Il concetto opposto è l’egoismo. In generale con questo termine viene espresso l’interesse dimostrato nel benessere, sia nel senso della sopravvivenza che in quello della qualità della vita, dei membri della propria specie o perfino di altre specie. Normalmente questo viene considerato come una qualità chiaramente positiva, perché migliora indirettamente le proprie possibilità di sopravvivenza e benessere. Se applicata agli umani viene considerata una qualità morale. L’altruismo può esistere tra pari, in forma di collaborazione per un mutuo vantaggio, ad esempio nella caccia, o può essere gerarchico, prendendo una forma simile al paternalismo, ad esempio genitori che nutrono e crescono i figli. Spesso però viene considerato vero altruismo solo quello disinteressato, che non si basa sul principio del do ut des (“do affinché sia ricambiato”). Applicato agli umani in contesto morale, viene inteso soprattutto in questo secondo senso. Ad esempio, gli aiuti umanitari sono una forma di altruismo. Secondo alcuni sociologi non esiste un altruismo totalmente disinteressato, in quanto un beneficio (non materiale) del donatore potrebbe sempre essere individuato: si pensi alla gratificazione, alla cessazione da empatia, all’autorealizzazione e all’appagamento del senso di giustizia.”

(http://it.wikipedia.org/wiki/Altruismo).

Wikipedia sembra riprendere dunque più o meno quanto ci viene detto dal dizionario Treccani, ovvero contrapposto all’egoismo, nell’altruismo abbiamo un aiuto reciproco, solitamente interspecie, finalizzato ad un fine comune (sopravvivenza o benessere), e aggiunge che può coinvolgere individui di altre specie. Gli esempi che wikipedia ci offre, tuttavia, riprendono il concetto di “egoismo” nell’atto dell’altruismo (quindi nel caso dell’ippopotamo che salva la gazzella saremmo in una dimensione egoistica per gratificazione, o cessazione da empatia, autorealizzazione, e l’ippopotamo avrebbe anche un senso di giustizia! A me tutto sommato questo cocktail andrebbe bene, in quanto ci permetterebbe di dare all’ippopotamo gli stessi diritti di un umano!); confondono cooperazione con altruismo; citano inoltre anche Comte il quale vede nell’altruismo, come affermato, la base biologica per la creazione della società (quindi anche una forma di egoismo, anche se, come detto, questo accostamento risulta ambiguo, un paradosso, un circulus vitiosus).

Queste definizioni portano tuttavia dei limiti e delle contraddizioni. Innanzitutto, come abbiamo avuto modo di vedere, sembrerebbe che quando ci muoviamo da una dimensione individualista ad una collettivista quasi automaticamente l’egoismo, onnipresente secondo alcuni, si dissolva nel nulla e si trasformi in una sorta di ossimoro “egoismo-altruista” (o altruismo-egoista che dir si voglia), una specie di altruismo con base biologica che ci porta a calcolare i vantaggi della collaborazione reciproca e per questo un altruismo “egoista” (anche l’ippopotamo, dunque, calcola!). In questa prospettiva, viceversa, l’egoismo individuale sembrerebbe puro non sense (che senso ha non essere altruisti, ovvero non curare il bene altrui, quando dipendiamo in tutto e per tutto dalla sfera sociale?), una specie di malattia mentale. E difatti, se passiamo ad analizzare adesso l’egoismo, dalla prospettiva “sociale”, questo ci appare come una vera e propria mania psicopatica, una anomalia del sistema, facendo apparire l’altruismo adesso come la normalità:

“egoismo s. m. [der. del lat. ĕgo «io»]. – Atteggiamento di chi si preoccupa unicamente di sé stesso, del proprio benessere e della propria utilità, tendendo a escludere chiunque altro dalla partecipazione ai beni materiali o spirituali ch’egli possiede e a cui è gelosamente attaccato: persona chiusa nel proprio e.; l’e. dei ricchi; l’e. di certi letterati; e. materno; restringere e riconcentrare ogni suo affetto ed inclinazione verso se stesso, il che si chiama appunto e. (Leopardi). Nel linguaggio filos., e. teoretico (detto più propriamente solipsismo), dottrina secondo la quale l’esistenza di ogni altro soggetto non è che fenomeno della coscienza del soggetto che se lo rappresenta; e. pratico, dottrina secondo la quale il fine di ogni azione umana è sempre e soltanto l’interesse individuale dell’agente.”

http://www.treccani.it/vocabolario/egoismo/

Mi sembra chiaro, da questa definizione, che se è vero che l’egoismo esiste – e prendendomi le mie responsabilità, affermo che esso esiste – mi appare come qualcosa di estremo, che riguarda persone prettamente ed enormemente autistiche, completamente apatiche, che non riescono a sentir nulla se non se stessi: non credo proprio che sia il caso di definire tutti gli esseri viventi – e tutte le loro azioni – in tal modo: basta del semplice buon senso per smentire questo status. E neppure la definizione di “solipsismo” usato in filosofia aiuta molto:

“Per estens., nell’uso letter. o elevato, soggettivismo, individualismo estremo, per cui ogni interesse è accentrato su di sé, ignorando o trascurando i problemi e gli interessi degli altri.”

 http://www.treccani.it/vocabolario/solipsismo/

Si osservi come il solipsismo venga definito in termini di “individualismo estremo”, chi ignora o trascura i problemi e gli interessi degli altri, o come identifichi individui chiusi nel proprio mondo infischiandosene totalmente di ciò che gli accade attorno: se questa è la normalità, bene, io credo di vivere su un altro pianeta, perché molto raramente ho incontrato gente cotanto egoista in vita mia. Credo al contrario che riusciamo a riconoscere e definire l’egoismo grazie a queste caratteristiche più che evidenti, così come il nostro senso comune (e buon senso) ci permette di definire una persona che spicchi per le sue doti altruistiche, che abbia innata una buona dose di apertura nei confronti dell’alter (a prescindere dalla specie) e generosità, ovvero:

“Nobiltà d’animo che si manifesta soprattutto come altruismo, disinteresse, prontezza al sacrificio e al perdono, ecc. (v. generoso): g. di sentimenti; dare prova di g. atto di generosità.”

http://www.treccani.it/vocabolario/generosita/

Da queste riflessioni, mi verrebbe da dire che la condizione descritta su, quando si parlava di altruismo, o meglio di quell’ossimoro “altruismo-egoista”, sia in effetti la normalità, una situazione non estrema ove solitamente le persone convivono scambiando continuamente e reciprocamente atti di altruismo con atti di egoismo utilizzati anche come forme di comunicazione di se stessi, con una giusta dose di “dare” e “ricevere”, uno scambio mutevole, euristico, che mantiene il sistema in equilibrio: parlare di egoismo o altruismo disinteressato, ciascuno come normalità assoluta, mi sembra fuorviante e fuori dal mondo. Affermare che l’egoismo, così come viene definito, sia la normalità dell’esistenza mi sembra una forzatura, e viceversa affermare che sempre e comunque ogni qualvolta si faccia qualcosa che coinvolga altri individui questo abbia come fine soltanto la collettività o sia sempre e necessariamente altruismo disinteressato, anche. Come spesso succede la soluzione, forse, sta nel mezzo.

Senza aspettarci santi e angeli che ex machina ci mostrino la via della pietà e dell’altruismo con le loro opere sovrannaturali (ci si aspetta che l’altruista sia una specie di essere angelico che si tagli una gamba per darla in pasto a dei tigrotti affamati), riprendendo invece la nostra “coi piedi per terra” enciclopedia Treccani, notiamo che alla voce altruismo nell’Enciclopedia delle scienze sociali (non nel dizionario) in effetti vi sia stato, e vi è tutt’ora, un forte dibattito sulla questione:

“L’altruismo, come fenomeno e come concetto, ha costituito per le scienze sociali, sin dalla loro formazione, un problema intricato e spesso confuso, che in un certo senso non possiamo ancora oggi considerare risolto.”

http://www.treccani.it/enciclopedia/altruismo_(Enciclopedia_delle_scienze_sociali)/

Ne deriva che affermare che l’egoismo sia la normalità e l’altruismo sempre e comunque una forma di egoismo è assolutamente falso ed idiosincratico, per il semplice fatto che il dibattito sulla questione ha origini antiche e risulta ancora aperto. Le definizioni di altruismo inoltre, abbiamo veduto, non per forza comprendono l’egoismo, ma questo dipende dal punto di vista di chi descrive l’azione, se si cita la filosofia di Nietzsche piuttosto che quella di Ghandy o di Jesus, e fors’anche dagli obiettivi di chi si esprime: ciascuno vi darà la sua idea, visione, definizione di “altruismo”. Così, mentre gli utilitaristi parlavano di “altruismo egoista”, Kropotkin cercava di spiegare l’evoluzione non in termini di “lotta per la sopravvivenza” ma bensì soltanto in termini di “mutual aid”, “obiettivi comuni”, cercando di mostrare come l’altruismo non solo avesse basi biologiche, ma che fosse esso stesso la normalità in Natura.

Castelfranchi conclude la sua disamina delle varie teorie che hanno analizzato il dualismo egoismo-altruismo nel seguente modo:

“7. Conclusioni: un tema di ricerca aperto

Come abbiamo visto, il tema dell’altruismo si inserisce, in modo non sempre ben delineato, in un’area di ricerca più vasta relativa ai comportamenti e alle relazioni di aiuto e, più in generale, al comportamento prosociale. Si tratta di un’area in cui sono ancora forti l’insufficiente preoccupazione per il proprio armamentario concettuale – tipica di tanti settori della ricerca psicologica e sociale -, la vaghezza e non formalizzazione dei cosiddetti modelli (spesso un elenco di fattori o una sequenza di fasi) e la non specificazione delle rappresentazioni mentali. La discussione e le ricerche sull’altruismo, concetto assai delicato, non possono non risentire particolarmente di tale inaccuratezza concettuale e approssimazione dei modelli. Al di là di una molto maggiore articolazione del problema, di descrizioni molto più ricche e ben fatte di circostanze e comportamenti, della raccolta di una massa di dati empirici, della formulazione di una quantità di ipotesi parziali (alcune alternative, molte plausibili e sommabili ma non integrate), non possiamo dire che si siano fatti progressi risolutivi rispetto ai termini cui era giunto il dibattito filosofico. Eccetto, forse, per il contributo sociobiologico, che non ha postulato la vaga esistenza di tendenze altruistiche per il gruppo o per la specie, ma ha dimostrato, in un quadro rigorosamente darwinista, la possibilità che si selezionino condotte altruistiche. Un’analoga dimostrazione di possibilità non è ancora avvenuta invece a livello psicologico, dove l’altruismo continua a essere riformulato come altruismo egoistico e pseudoaltruismo (‘ricompense interne’, ‘evitamento delle tensioni’). Forse modelli computazionali e metodi di simulazione potrebbero essere determinanti per la dimostrazione della possibilità logica di un sistema intelligente, capace di scopi autonomi e di interazione sociale, che persegua anche scopi prosociali in modo fine a se stesso, che faccia propri gli scopi di un altro sistema senza un calcolato vantaggio di ritorno o un rinforzo interno. Tale modello di agente razionale permetterebbe di distinguere con chiarezza tra previsioni e aspettative da un lato e scopi dall’altro, tra scopi e regole e meccanismi di decisione razionale, ecc. La dimostrazione di una tale possibilità – che certamente poi non è conclusiva per quanto riguarda la questione empirica se l’uomo abbia o non abbia degli scopi realmente altruistici, come li abbia, e quali – non è stata condotta nemmeno a livello macrosociale (a parte lo schematico modello matematico di Margolis), come si è tentato invece di fare per la cooperazione e la reciprocazione (v. Axelrod, 1984).” (Ibid.)

Si osserva dunque nell’Enciclopedia delle scienze sociali come la questione sia antica e ancora aperta, quindi volendo stare ai codici condivisi a livello culturale, i quali mostrano una quantità variegata di punti di vista anche opposti sulla questione, affermare che una azione altruista sia sempre e comunque una forma di egoismo è soltanto un’opinione, è falso e, se non si specifica l’idiosincrasia del proprio enunciato (la parolina magica “secondo me” o “secondo Tizio”), questa può anche essere vista come frase recitata in mala fides.

In breve, se guardiamo alla questione dal punto di vista sociobiologico, quindi eliminando dal campo di indagine l’aspetto psicologico-motivazionale (è possibile che l’ippopotamo abbia visto nell’antilope l’immagine del padre defunto o che vederla nella bocca spalancata dell’enorme rettile abbia innescato in lui un qualche complesso di Edipo? O magari era un pedofilo e sperava di poter avere la bella antilopina tutta per lui?), risulta chiaro come in una società organizzata, e che per questo motivo tende all’altruismo-egoista (quindi ad un bilanciamento delle due forze che di fatto le mette in gioco entrambe) per il buon mantenimento della collettività, da tale equilibrio sociale si vedranno individui trarre totalmente vantaggio dalla situazione (dall’equilibrio scaturito dall’altruismo-egoista altrui) soltanto per il proprio tornaconto e che quindi chiamiamo “egoisti”, ed individui al contrario più propensi e proiettati verso la rinuncia ed il sacrificio per il bene comune e che, di conseguenza, in opposizione ai primi, possono essere definiti come “altruisti”. Tralasciando le motivazioni del loro agire, da un punto di vista oggettivo, di fatto questi soggetti egoisti, pur essendo totalmente immersi in una società che è basata sull’altruismo-egoista (senza il quale, ci mostra Comte, non può esservi alcun legame sociale) in contrasto rispetto ai secondi, ci indicano che esiste una qualche tendenza altruistica e che riguarda alcuni individui, non tutti (anzi, l’estremo opposto è occupato dagli egoisti).

Andando invece ad analizzare gli studi di psicologia, gli psicologi behavioristi hanno spiegato la cosa soltanto in termini di “egoismo” (Stimolo-Risposta-Rinforzo-Punizione, ma mi sembra un tantino riduzionista: e l’ippopotamo?), ovvero anche il sacrificare la propria vita sarebbe di fatto, in certe condizioni, una specie di ricompensa (andatelo a raccontare al ragazzo morto nella Concordia che ha lasciato il suo posto nella navetta di salvataggio ad una bambina – “senso del dovere”? E perché gli altri non ce l’avevano questo “senso del dovere”? E l’ippopotamo da quale codice culturale lo prende il suo “senso del dovere”?), così come gli psicologi delle altre scuole non sono ancora riusciti a dare una definizione dell’altruismo che non mettesse in conto un appagamento del proprio io, e altri fattori egocentrici (ritorna la favola di Esopo). Queste conclusioni, lungi dall’essere assolute e definitive, hanno al contrario mostrato la pecca del non riuscire a vedere il fenomeno fuori dai propri schemi concettuali (si pensi all’etologia o alla psicologia comportamentista), cosicché, nei casi visti, non si è riusciti a valutare la questione fuori dal principio che vede l’agire umano sempre e comunque orientato a degli scopi per il bene individuale (come in Adam Smith, ad esempio – dice niente?), così influenzati dai propri modelli epistemici.

La questione culturale, inoltre, non spiegherebbe perché all’interno della stessa famiglia ci siano figli (o fratelli con carattere opposto) che contrastano il carattere dei genitori ad esempio.

Il dato di fatto è che l’altruismo c’è, e se non ci fosse, non potrebbe esserci il suo opposto: l’egoismo. Se riconosciamo l’altruismo, o prima che Comte coniasse il termine, la simpatia, la pietà (“La civiltà ci corrompe e ci allontana da questo sentimento naturale, e la ragione “genera l’amor proprio e […] fa ripiegare l’uomo su se stesso” affermava Rousseau[1]) o la benevolenza, come veniva definito in ambito filosofico e scientifico l’azione opposta all’egoismo, non esisterebbe neppure il secondo, essendo questo, secondo alcuni studiosi, onnipresente. Inoltre, anche se l’egoismo fosse onnipresente, ciò non toglierebbe il fatto che alcuni individui siano più inclini ad allontanarsi dal proprio ego per proiettarsi verso l’alter pur quando la cosa non viene esplicitamente richiesta, il che ci permetterebbe comunque di parlare di qualcosa che a conti fatti spicca sullo sfondo dell’egoismo e che possiamo dunque riconoscere come qualcos’altro.

Al contrario, siccome riconosciamo una persona egoista, come riconosciamo una persona altruista quando la incontriamo, o un’azione egoista o altruista quando si manifesta, direi che sia lecito definire una persona che sprechi le sue energie (anche) per gli altri, a differenza di chi al contrario pensa soltanto al proprio orto, pur non avendone un vantaggio diretto, immediato o scontato (come Troisi, potrebbe perfino essere deriso!), o che si sbatte affinché insieme a lei anche altri soggetti (umani e/o non umani) possano trarre dei vantaggi dalla “vita”, con il termine di “altruista”. L’altruismo mi appare più come una predisposizione dell’anima, un approccio alla realtà, uno stile di vita, un modus operandi che avviene in un contesto ben delineato, che muta nel tempo e nelle circostanze (non è detto che si è altruisti sempre e comunque, sorry! Quelli sono i santoni!), e che in condizioni straordinarie può manifestarsi in tutto il suo essere.

La mia definizione (vaga) di altruismo.

Abbiamo dunque una dimensione in cui ci stanno tre estremità: egoismoaltruismoegoismoaltruismo. La realtà reale, ovvero una condizione senza troppi estremi (come la fame, la guerra etc.) è prevalentemente del tipo altruismoegoismo, ovvero in generale gli individui sani di mente tendono verso i propri obiettivi incoraggiando il bene altrui sulla base di un tornaconto (materiale o immateriale) soggettivo e/o collettivo. Possiamo affermare che vi saranno persone più o meno predisposte, per indole, all’altruismo, e altre più o meno inclini all’egoismo. Abbiamo dunque individui estremamente egoisti ed altri prevalentemente altruisti. Se l’egoismo è una chiusura, possiamo definire l’altruismo come un’indole propria di alcuni individui, un carattere innato o dato culturalmente, che li spinge al contrario all’apertura verso l’esterno, apertura che li porta a compiere delle azioni non soltanto per il proprio bene, ma per un qualche vantaggio comune che includa altri individui, e in certi casi possono anche essere orientate prettamente o solamente per un vantaggio verso altri individui (qualunque sia la specie) anche quando la cosa non esplicitamente richiesta, talvolta sacrificando (virtualmente o realmente) anche se stessi.

Da questa definizione deriva che quegli individui che in linea di massima pensano oltre che a se stessi anche (e nei casi estremi solo) al bene di altri soggetti, rientrano pienamente nella definizione di “altruisti”: attivisti per i diritti umani e animali, a mio modesto vedere, sono elementi di questa categoria, pensando, ed essendo in linea di massima le loro azioni orientate verso il bene comune.

Aggiungo che si ricerca spesso più l’altruismo nelle persone che l’aspetto contrario (e lo sanno bene i politicanti!), e per questo tale aspetto è cotanto lodato e condannato (visto con sospetto) contemporaneamente (sic!). A tal proposito concludo con una storiella che tempo fa lessi su internet, in qualche sito, forse su facebook:

“Due amici camminavano nel deserto. Ad un tratto cominciarono a discutere e un amico diede uno schiaffo all’altro. Addolorato, ma senza dire nulla, quest’ultimo scrisse sulla sabbia:

IL MIO MIGLIORE AMICO OGGI MI HA DATO UNO SCHIAFFO.

Continuarono a camminare, finché trovarono un’oasi dove decisero di fare un bagno. L’amico che era stato schiaffeggiato rischiò di affogare, ma l’altro lo salvò. Dopo che si fu ripreso, l’amico salvato incise su una pietra:

IL MIO MIGLIORE AMICO OGGI MI HA SALVATO LA VITA.

L’amico che aveva dato lo schiaffo e aveva salvato il suo migliore amico domandò: “Quando ti ho ferito hai scritto sulla sabbia, e adesso lo fai su una pietra. Perché?”

L’altro amico rispose: “Quando qualcuno ci ferisce dobbiamo scriverlo sulla sabbia, dove i venti del perdono possano cancellarlo. Ma quando qualcuno fa qualcosa di buono per noi, dobbiamo inciderlo nella pietra, dove nessun vento possa cancellarlo.”

Essendo un bene ricercato, l’altruismo, in una società basata sul capitale che la gestisce nella sua interezza, risulta comprensibile che non si riesca ad accettare una umana azione, entro questi schemi, che non sia orientata verso un guadagno (sono tutti egoisti!). Tuttavia questa sfiducia sempre e comunque verso il prossimo rientra a pieni voti nella famigerata “teoria del complotto” (o “del tornaconto”, se preferite).


[1]   http://www.treccani.it/enciclopedia/altruismo_(Enciclopedia_delle_scienze_sociali)/

Un commento su “Animalisti e antispecisti: egoisti o altruisti?

  1. Claudio
    dicembre 23, 2013

    Mi pare un buon ragionamento, per quanto forse troppo prolisso, Si potrebbe forse metterla giù molto semplice: non possiamo uscire fuori da noi stessi, mai; e neppure conoscere nulla se non attraverso noi stessi, In altre parole, siamo tutti, inevitabilmente, egocentrici. Ora, altruista o egoista, dipende tutto da quanto grande è il proprio ego, da quanto lo si sente ampio, e non solo in senso narcisistico, ma anche in senso empatico o, addiruttura, in senso mistico. Se per empatia di natura o per elevazione d’animo si arrivasse a comprendere (o anche solo a sentire emotivamente – senza comprensione razionale) che il proprio ego è un microcosmo, ovvero l’analogo rifacimento in piccolo dell’unità cosmica o anche solo una parte integrante dell’energia vitale dell’intero universo, per esempio, allora ecco che uno potrebbe apparire altruista di brutto, proprio, praticamente un santo o un Cristo (che dicendo “ama il tuo prossimo come ami te stesso” dava evidentemente per scontato l’egoismo di ognuno). Ecco.

    MA…! Schopenhauer lo dice meglio:

    “Tutto ciò che è individuale, cioè l’occuparsi, il riferirsi al proprio individuo, è piccino.

    Chi è piccino, infatti, riconosce se stesso solo in quell’unico piccino che scompare tra infiniti altrim ossia nel proprio individuo.
    Chi è grande, invece, si riconosce in tutto, senza eccezioni, e perciò si occupa della totalità delle cose, cerca di comprenderla e di agire su di essa perchè sente che ciò lo riguarda: proprio questo lo rende grande.

    Gli uomini, per la maggior parte, sono e solo sempre piccini, mentre alcuni, pochi, lo sono almeno a tratti, cioè sono grandi anche se soltanto a momenti, perchè non si può evitare a volte di avere presente soltanto il proprio individuo, e allora si risulta piccini.

    E’ piccino chi vive solo nel microcosmo; è grande chi vive anche nel macrocosmo”

    Arthur Schopenhauer (Scritti Postumi, Vol. III)

    Cambia “piccino” con egoista e “grande” con “altruista” e il gioco è concluso.

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Questa voce è stata pubblicata il dicembre 23, 2013 da in Articolo, Attivismo.

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