Gallinae in Fabula Onlus

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Animalità, coscienza e soggettività nell’etologia filosofica

di Nicola Zengiaro

Etologia_filosofica

Il saggio di Roberto Marchesini, filosofo, etologo e zooantropologo, che è uscito quest’anno 2016, indaga con estrema chiarezza la soggettività animale attraverso l’etologia filosofica, in particolare, occupandosi dell’ontologia animale.

Le tesi affrontano numerosi ostacoli che hanno segnato la tradizione filosofica con cui l’uomo odierno ancora concettualizza l’animale. L’ampio dibattito all’interno del testo è sostenuto contro il meccanicismo, nello specifico attaccando il dualismo cartesiano, laddove l’animale è visto come un corpo-macchina.

L’etologia cognitiva, secondo Marchesini, «non ha messo in discussione il paradigma cartesiano della res exstensa, […] ha semplicemente aggiunto la coscienza a illuminare e gestire» il processo meccanicistico. Perciò la soggettività animale dev’essere cercata altrove.

La coscienza è espressa in termini di soggettività all’interno della terminologia atta a identificare senza individuare l’animalità come zoé. Essa è solamente uno dei tanti stati possibili della soggettività che si esprime, nel modo dell’animale, nell’essere un corpo-che-desidera.

Il saggio è estremamente specifico in alcuni tratti, ma ciò è necessario a mio avviso per identificare il punto cruciale dell’argomentazione dell’etologia filosofica. La ricerca avviene per tracce, secondo schemi analitici, che si alternano a esempi per ampliare la portata comprensiva, spezzando numeriche dimostrazioni e confutazioni tese a tracciare un sentiero pulito e chiaro.

L’animalità per l’autore è immanente al desiderio, il quale crea intersezioni con la realtà che è formata dall’essere animale, al contrario di ciò che sosteneva Heidegger nei Concetti fondamentali della metafisica. «Essere animale significa desiderare: pensare sognare, agire, comunicare perché si desidera». Questa tesi emerge come significante della condizione comune tra l’animale umano e qualsiasi altra specie.

Attaccando il dualismo, è chiesto, all’interno del primo capitolo L’oscuro oggetto della soggettività animale, e che riassume l’indagine: «l’animalità può essere formalizzata?”.

La funzionalità espressiva della specie specifica in questa trattazione non viene vista come un burattinaio che muove i fili d’un oggetto privo della propria autorità sull’agire, bensì come un piano sopravveniente delle modalità in cui esistono le singole dotazioni che integrano le funzioni specifiche per rispondere a un’altra domanda fondamentale:«l’espressione animale può essere dedotta in modo diretto dalla sommatoria delle sue dotazioni?» La soggettività animale si trova sotto il segno di queste domande.

Lungo l’analisi del non-umano si scorge il costrutto ontogenetico del concetto di umanità e dei suoi predicati, nell’immedesimazione e distanziamento da un mondo, entro il quale vuole estirpare se stesso dall’alterità. La dicotomia “umano vs animale” svela le concezioni meta-predicative con cui l’essere umano vuole darsi come alterità ontologica separata dal resto del vivente e in cui, questa dialettica ontologica, funziona come costruzione identitaria, mirante a desogettivizzare l’animale.

L’elevazione terminologica e la densità filosofica con cui sono espressi i concetti, rendono il saggio al quanto riassuntivo (99 pagine) e perciò più lineare secondo una precisione che non lascia ambiguità alcuna.

Tesi umanistiche di dominio sono messe in luce, in cui natura e cultura si scontrano, facendo il verso a Foucault, in un’archeologia delle scienze umane, per lasciare spazio all’ibridazione di gran parte dei predicati che l’uomo condivide con le altre specie. «Io e l’altro di specie apparteniamo allo stesso “modo-di-essere” anche se lo esprimiamo con declinazioni differenti.»

Epifania del testo, a mio parere, emerge nel terzo capitolo ove Marchesini, con tesi olistiche riguardanti lo studio etologico specializzato, afferma che «la razionalità rappresenta un inibitore della soggettività» perché, in estrema sintesi e genericamente per lasciare al lettore il gusto di seguire la tecnicistica ricerca, «riduce gli spazi di espressione libera dell’individuo e lo riporta all’interno di binari prestabiliti.»

Rievocato in maniera più consona al pensiero animale, a mio parere più di quanto non abbia fatto Agamben ne L’aperto, viene affrontato anche il tema dell’ibridazione, divenire, dell’apertura all’alterità del mondo, in cui l’ontogenesi è vista come un dialogo nel flusso continuamente presente dell’animalità.

In questo saggio emerge la soggettività animale con il protagonismo «dell’essere animale nella manifestazione singolare del proprio qui-e-ora, rigettando la lettura classica meccanicistica e deterministica.»

 Nella postfazione, felice Cimatti, un altro filosofo che non ha bisogno di presentazioni nell’ambito della Filosofia dell’animalità, attraverso il suo modo pungentemente ironico di scrivere rende Heidegger e il suo concetto della “pietra è senza mondo”, un presuntuoso piccolo dio. «[…]Il vero filosofo, qui, è la pietra che accetta la condizione che le è capitata, senza darsi tante arie e senza fare storie.»

L’articolazione finale segue la storia della pietra in questione, la pietra che Heidegger ha tanto snobbato, immaginando che una volta quella precisa pietra calcarea fosse stata di origine organica, «com’è testimoniato dai numerosi resti animali e di piante contenuti al suo interno», riconoscendo che quella pietra «era in qualche modo viva, anche se ora, in quanto pietra, non è né viva né morta».

Dimostrazione che l’animalità circoscrive tutta l’esistenza, dall’uomo alla pietra, dall’arte al pensiero, Cimatti passeggia tra le letterature come quelle di Ovidio o di D. Garnett dove si esplica la condizione deleuziana del divenire-animale.

Personalmente gli ultimi due capitoli della postfazione, che fa da cadenza musicale al saggio di Marchesini, Animismo e “Elogio deli uccelli”, estraniano il lettore in un universo parallelo in cui per un attimo si può sentire leggero e contemporaneamente pieno di quella originaria vita esistenziale che la terra e tutti i suoi abitanti più liberi d’essere quell’animalità rappresentano.  Da Whitehead a Merleau-Ponty, fino alla poetica di Leopardi, si scorge un unico processo di continua relazione e trasformazione, in cui la totalità della vita è compresa.

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Questa voce è stata pubblicata il Maggio 9, 2016 da in Articolo, Filosofia, libro, Uncategorized.

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