Piattaforma di ricerca e volontariato sulla diversità a partire da ecologia e animalità
di Natan Feltrin
Come può esistere una antropologia non antropocentrica? Come si può immaginare una realtà al di là della dicotomia tra “natura” e “cultura”?
La risposta a questi due interrogativi potrebbe essere contenuta nelle pagine di OLTRE Natura e Cultura di Philippe Descola, un testo che il noto antropologo Claude Lèvi-Strauss definì “pazzo”.
“Pazzo” a ragion veduta, considerato il paradosso dello spingere un testo di antropologia culturale par-delà del perimetro stesso di ciò che siamo soliti chiamare “cultura”.
Per chiunque voglia avventurarsi nella lettura di quest’opera, che certamente ha lasciato un segno nella storia dell’antropologia di cui a lungo percepiremo l’eco, devo premettere che si tratta di un testo denso, impegnativo, ma affascinante e ricco di punti illuminanti quanto di punti oscuri.
Pensare di riassumere il contenuto di OLTRE Natura e Cultura in poche pagine sarebbe ingenuo, soprattutto data la mole del testo (in edizione SEID 438 pagine).
Cercherò qui, piuttosto, di mostrare cosa significhi andare oltre l’antropocentrismo in antropologia secondo Descola e come la distinzione ontologica tra “natura” e “cultura” appartenga soltanto ad una determinata visione del mondo anch’essa prodotto culturale (leggendo l’opera per intero si fa l’abitudine a certi paradossi linguistici).
Per l’antropologo francesce la dicotomia natura-cultura è solo uno dei modi possibili di guardare al reale, modo anch’esso basato su di una dicotomia, a suo dire universale, più profonda: quella fra interiorità (mente, coscienza, forse anima) e fisicità.
Fissata questa distinzione originaria in Homo sapiens, vi sono di conseguenza quattro modi in cui un individuo umano può intendere un individuo non umano:
1. Come identico nel fisico, inteso in tale contesto avente simili strutture chimico-biologiche, ma non nella interiorità (naturalismo);
2. Come identico nell’interiorità, ma non nella fisicità (animismo);
3. Come identico nell’interiorità e nella fisicità (totemismo);
4. Come differente sia nell’interiorità che nella fisicità (analogismo);
Ci troviamo, qui, di fronte a uno di quei rari casi in cui un antropologo si avventura, così a fondo, nel fragile terreno della speculazione filosofica ricorrendo ad un termine polivalente e non privo di ambiguità quale “ontologia”. Naturalismo, animismo, totemismo e analogismo sono le quattro ontologie secondo le quali, a detta di Descola, l’umano ha inteso la realtà del cosmo nella storia.
Qui emerge tutta la natura strutturalista dell’autore che lo rende a pieno titolo un fiero discepolo di Lèvi-Strauss, il padre dello strutturalismo, del quale ora detiene la cattedra a Parigi, ma anche che ne segna il maggior limite teorico.
Parafrasando Karl Marx, tutto ciò che è solido tende a sciogliersi nell’aria e la griglia rigida in cui Descola colloca le ontologie (o cosmologie), alla prova dei fatti, non è così discreta e rigorosa, ma, al contrario, molto porosa e permeabile.
Nonostante alcune ambiguità negli esempi etnografici riportati nel testo descolaniano, come quello circa il totemismo degli algonchini che ha più il sapore di animismo, la proposta teorica resta di una forza dirompente: il più diffuso modo di intendere la natura come sostrato rigido su cui si manifesta un variopinto multiculturalismo è solo il prodotto di una weltanschauung ( visione) singolare.
Ad essa si contrappone, ad esempio, la concezione del mondo da parte di un popolo dell’Amazzonia a lungo studiato da Philippe Descola, quello degli Achuar. Gli Achuar, la cui ontologia è animista secondo i canoni del libro, sono un popolo per il quale la cultura è il sostrato mentre è la natura a creare distinzione con il suo poliformismo. Per citare un antropologo con cui Descola più volte si confronta, ovvero Viveiros de Castro, gli Achuar sono multinaturalisti.
Per non cadere nell’oceano etnografico presente in OLTRE Natura e Cultura e non inciampare nelle spiegazioni, talvolta cavillose, delle varie ontologie prendiamo per buono il messaggio più semplice, ma importante: la storia che ci ha portato dalla filosofia greca, attraverso Galileo, Bacone e Cartesio, alla moderna concezione della natura come un blocco unico e contrapposto all’umano, in quanto produttore di cultura e artefici, è solo una delle tante storie possibili che trova la sua origine in una realtà in cui questa distinzione non era affatto necessaria.
Cosa ha tutto questo a che vedere con la prima domanda circa l’antropologia non antropocentrica?
La risposta, se si è riusciti a seguire sin qui il ragionamento di Descola senza emicranie, appare ora più chiara. Una volta decostruita la concezione di “natura” con la “N” maiuscola, si apre una breccia attraverso la quale considerare gli esseri non umani (animali, piante, monti, fiumi, spiriti, etc…) non come alterità assolute a cui contrapporre la società umana, ma piuttosto come parti ontologicamente paritarie di un collettivo più grande. L’antropologia diviene non antropocentrica nel momento in cui smette di porre al centro il concetto di società, intesa come società umana, ma si mette ad indagare i collettivi in quanto realtà ecologico-culturali. In tutto il testo traspare la critica al sociocentrismo di Émile Durkheim in quanto emblema della chiusura umana nei confronti delle alterità non umane paradossalmente sempre presenti nella vita di ogni gruppo umano.
Il superamento della dicotomia natura-cultura e l’importanza del concetto di “collettivo” spingono l’autore a suggerire agli odierni ecologisti un confronto con altri modi del pensiero per meglio comprendere il proprio compito di difensori della biodiversità. Questa critica all’ecologia moderna, non è semplice gusto per l’esotismo, ma una reale proposta di ripensamento nei confronti di una disciplina che spesso non riesce a sfuggire alle sue aporie.
Dopo aver letto il testo di Philippe Descola non posso che avvertire una vertigine profonda e un senso di smarrimento, ma questo disagio non è un negativo quanto, piuttosto, l’ubriacatura che dà l’aver guardato il Mondo da un punto di vista differente tanto da non poterlo più ricacciare ingenuamente all’interno di categorie che, solo ora, paiono strette e contingenti.
Questo è solo un assaggio minimalista del gigantesco sforzo teorico di un grande antropologo, ma spero serva da invito a rimboccarsi le maniche per tuffarsi in una faticosa, ma gratificante avventura tra le pagine di OLTRE Natura e Cultura.