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Di Selene Feltrin
“Kāore koe i mihi mai, i īnoi mai ki a Tāne. Kore rawa koe e whiwhi i tēnei rākau!”
Tu non hai considerato il Tane, non hai offerto preghiere né dimostrato rispetto. Non ti meriti questo albero!
Così i Kaitiaki, guardiani degli alberi e della foresta rispondono indignati all’ennesimo tentativo di Rata, giovane guerriero, di tagliare l’albero Tane Mahuta per costruirsi una waka, la canoa maori.
E a questo rimprovero Rata si sente sprofondare dalla vergogna. Per lui e il suo popolo onorare ogni forma di vita è un principio a cui mai si deve venire meno. Rata sa che “il mondo non ci appartiene”. Per ogni cosa che vogliamo dobbiamo domandare ed essere pronti a offrire qualcosa in cambio.
La leggenda di Rata è senza dubbio un grande insegnamento per l’uomo moderno. Una lezione non nuova di certo, ma autorevole, in grado con poche parole di far arrossire anche noi, uomini della generazione antropocentrica che crediamo tutto a nostra disposizione!
La leggenda di Rata e dell’albero è un’antica parabola del Pacifico che ammonisce l’uomo del suo peso nel mondo.
Il giovane in questione, non è uno di noi. Egli è un eroe della sua gente e i suoi intenti sono onorevoli: vendicare la morte del padre e recuperare il suo corpo che giace su un’isola lontana senza sepoltura. A Rata serve un alto albero in cui scavare lo scafo della waka che lo trasporterà alla meta. Nella fretta dei suoi propositi dimentica la karakia, cioè la preghiera in onore del dio albero affinché esso gli conceda in prestito il suo corpo.
Dopo aver abbattuto la pianta e aver cominciato a lavorarla, al calare del giorno, stanco, torna alla sua dimora. L’indomani però con sorpresa ritrova l’albero che si erge nuovamente in piedi, in tutta la sua maestosità.
Ripete l’operazione una volta e un’altra ancora, ma ogni notte l’albero torna al suo posto.
Spazientito ed esausto Rata decide di appostarsi proprio ai piedi del tronco tagliato per vedere cosa accade durante le ore buie.
Ed ecco che spiriti del bosco, uccelli, e insetti si animano e sollevano l’albero, ristabilendo l’ordine naturale delle cose.
“E aha ana koutou ki taku rākau? He aha te take i pēnei ai koutou?”
Cosa credete di fare? Perché rovinate così il mio duro lavoro?
Questa è l’ultima domanda di un uomo accecato dal dolore e dalla vendetta che perde di vista l’importante equilibrio del mondo intorno a lui.
Messo poi in guardia dai kaitiaki, Rata si pente e gli dei non solo perdonano il suo gesto sconsiderato, ma decidono di aiutarlo, facendogli trovare l’imbarcazione pronta per la sua avventura.
La Natura ha perdonato l’errore umano, nonostante per ben tre volte fosse grave e reiterato. Forse è qui che dovremmo leggere il grande insegnamento di questa parabola?
Non c’è stato un errore umano da una parte e un Dio implacabile punitore dall’altra.
Tane- Mahuta è dio, ma è anche albero. Lui è rappresentazione e concretezza allo stesso tempo, tant’è che per vedere il dio Tane Mahuta basta recarsi nella foresta di Waipoua nella regione del Northland in Nuova Zelanda. Lui altro non è che un vivente albero di kauri, Agathis australis, vecchio di circa duemila anni (età stimata approssimativamente tra i 1250 e i 2500). Probabilmente è un residuo della foresta subtropicale che cresceva nel nord della Nuova Zelanda. Altri esemplari di Kauri crescono anche nella regione di Auckland, ma Tane-Mahuta è sicuramente il più antico e degno di essere chiamato dio albero.
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